ELEZIONI 2018: LA PROPOSTA DELLA C.L.N.

30.11.17

ELEZIONI: ATTENTI ALLE CANTONATE di Leonardo Mazzei

Abbiamo pubblicato un dettagliato Vademecum sulle elezioni, spiegando i meccanismi previsti dalla nuova legge elettorale Rosatellum 2.0. Legge che pochi pare abbbiano davvero compreso. Ad esempio Aldo Giannuli e Stefano D'andrea e, addirittura, lo stesso Rosato.

Le cantonate capitano. Chi non le prende alzi la mano! Quando però diventano troppe sullo stesso argomento, esse ci segnalano qualcosa che non va. E ci obbligano a qualche riflessione.

Sto parlando della nuova legge elettorale, tema di cui tanti discutono spesso senza capirci granché, come nel caso di certi commentatori di cui ci siamo già occupati, a proposito dei cosiddetti "accordi tecnici nei collegi", talmente "tecnici" da essere tecnicamente impossibili (e guarda caso non se ne parla proprio più, chissà perché...). Qui però non mi riferisco a giornalisti dalla collaudata superficialità, bensì a soggetti solitamente "informati dei fatti".

Mi ha colpito in proposito uno scritto di Aldo Giannuli, persona molto preparata in materia. E' lo stesso Giannuli che ha istruito il percorso che ha portato alla formulazione della proposta di legge di M5S. Detto en passant, proposta a nostro avviso pessima, ma questo è un altro discorso. Di certo non si può dire però che Giannuli non conosca i sistemi elettorali. Al contrario.


A maggior ragione ho sgranato gli occhi di fronte a questa sua affermazione:

«La legge attribuisce 232 seggi ai collegi uninominali e 398 alle circoscrizioni proporzionali, inoltre è previsto un premio di maggioranza per la lista di maggioranza relativa che superi il 40%».

Lì per lì ho pensato di aver inteso male. Come può uno preparato come Giannuli non sapere che la nuova legge non contiene nessun premio di maggioranza? Invece avevo letto bene, tant'è che subito dopo il Giannuli tranquillizza:

«Stando alle previsioni che abbiamo fatto, nessuno dei tre blocchi maggiori raggiungerebbe il 40%, anche se il centro destra potrebbe avvicinarsi sensibilmente all’obiettivo».

In realtà il premio proprio non c'è. Quella del 40% è solo una soglia giornalistica. Siccome la nuova legge è al 36% maggioritaria, e siccome il sistema è sostanzialmente tripolare, si può calcolare all'ingrosso che chi arrivasse al 40% dei voti potrebbe sperare in un 50% di seggi, grazie appunto al bottino dei collegi uninominali. E' un'ipotesi abbastanza realistica, ma tutt'altro che una certezza, men che meno una soglia di legge.

Il mito dell'obiettivo del 40% non viene fuori per caso: fa gioco a Renzi, che lì arrivò nel (molto lontano) 2014, come nel giorno della sua sconfitta referendaria di un anno fa; fa gioco alla destra, per ringalluzzire una coalizione assai fragile sul piano politico; ma serve pure ad un M5S che vorrebbe così far credere di poter vincere senza alleanze. Proprio per la smaccata strumentalità di questa soglia, che nella legge non c'è, sarebbe bene evitare le trappole della propaganda e spiegare invece l'effettivo meccanismo elettorale.

Meccanismo altamente truffaldino, ma dove l'effetto distorsivo in senso maggioritario non è dovuto ad un inesistente "premio di maggioranza", bensì ai collegi uninominali all'inglese ed al rigido legame che salda indissolubilmente la quota maggioritaria con quella proporzionale.

Di tutto ciò sembra non essersi accorto Stefano D'Andrea, il quale ci rifila inopinatamente il seguente titolo: «Un (grande) merito dell'attuale legge elettorale». Il testo del D'Andrea —lo dico senza ironia alcuna— ha un gran pregio: la brevità. Ma quale sarebbe invece il "grande merito" dell'edizione 2017 dell'ennesima legge truffa? Semplice. Essa avrebbe il potere di «Reindirizzare finalmente l’Italia verso la forma di governo parlamentare». Egli ci dice che con la nuova legge le cose non andranno meglio ma neppure peggio di prima. Dunque, ecco la sua conclusione:

«Sarà chiaro a tutti a quel punto che il maggioritario, i premi di maggioranza e la governabilità erano balle per turlupinare il popolo e aggredire la forma di governo parlamentare e quindi la Costituzione».

Certo che erano anche tutto ciò. Ma erano o sono? Lo so che è incredibile, ma D'Andrea sembra ignorare che il maggioritario è stato reintrodotto per altra via. La sua soddisfazione per la nuova legge si può quindi spiegare solo in due modi: o ha perso la testa o non ci ha capito nulla. Propendiamo per la seconda ipotesi, quella relativamente meno grave.

Ma perché questa cantonata? Che sia stato il gran chiacchiericcio mediatico sul "ritorno al proporzionale", se non addirittura alla "Prima repubblica", ad aver colpito dalle parti del "Fronte sovranista"? Sta di fatto che quello del Rosatellum è un meccanismo reso largamente maggioritario dai collegi uninominali all'inglese. [1]

Ora magari il D'Andrea ci dirà che c'è pur sempre un 64% (scarso) di proporzionale. Già, ma se è per questo anche il Porcellum aveva una base proporzionale. In quel caso la rappresentanza veniva stravolta dal premio di maggioranza, qui dai collegi maggioritari. Due strumenti diversi per raggiungere lo stesso fine, quello di dare alle forze sistemiche un numero di seggi ben maggiore rispetto ai consensi riscossi nelle urne. Dov'è dunque il "merito" di questa legge? Ai lettori l'ardua sentenza.

Ma siccome il mondo è bello perché vario, chiudiamo con un'altra cantonata. In questo caso non sappiamo se sincera o studiata ad arte. Il dubbio è inevitabile, dato che la castroneria è stata pronunciata nientemeno che dall'autore (ma sarà quello vero?) della legge. Cioè, proprio lui, Ettore Rosato da Piddinia City.

Per meglio intimorire i transfughi di Mdp egli dice a la Repubblica (che prende il tutto per oro colato):

«E' molto semplice – sintetizza il padre della riforma elettorale, Ettore Rosato — nel proporzionale questa legge assegna 3,3 deputati per ogni punto percentuale. Fate un po' voi i conti…».

Eh già Rosato, facciamoli và due conti già che ci siamo.

I conti a cui ci chiama questo genio della matematica (i giornali hanno parlato addirittura di "coefficiente Rosato" e di algoritmi che non c'entrano proprio nulla) sono invece una robina da scuola elementare.

Premesso che Rosato parla della Camera, abbiamo già visto che i seggi attribuiti con metodo proporzionale sono 398, di cui 386 quelli relativi al territorio nazionale. Ora, se fosse vero quel che dice Rosato —un punto percentuale = 3,3 deputati— avremmo invece l'elezione con il proporzionale di soli 330 deputati (3,3 x 100 = 330). Ora, capisco bene che a Rosato piacerebbe mettere da parte, riservandolo al Pd, il tesoretto dei 56 seggi "scomparsi", ma temo per lui che a questo punto non si sia ancora arrivati. Il coefficiente di legge non è dunque 3,3 bensì 3,86 (386 : 100 = 3,86).

La differenza tra 3,3 e 3,86 potrà sembrare a qualcuno un peccato veniale (per una forza stimata sul 5% significa attribuirgli 15 seggi al posto dei 19 di legge), ma è pur sempre la differenza che passa tra la verità e una bugia.

Per oggi fermiamoci qui. Tanto il teatrino politico-mediatico ci offrirà senza dubbio altre bufale di cui occuparci. Chi però da questo teatrino è fuori dovrebbe stare un po' più attento a quel che dice. Viceversa si finisce per alimentare una confusione che fa solo gioco a lorsignori, mentre a noi compete semmai svelare la realtà nella maniera più chiara possibile.


NOTE

[1] Nell'articolo in questione Stefano D'Andrea, con la consueta sicumera, scrive tra l'altro: «E, a differenza di quanto credono oggi gli ingenui, ancora storditi dal concetto ingannatore di governabilità, non si tornerà a votare con immediatezza ma, al contrario, si tenteranno tutte le strade». Che tenteranno tutte le strade è sicuro, ma vorremmo ricordare che tra queste, c'è quella di un veloce ritorno alle urne. Nel Palazzo si vocifera addirittura in estate... [NdR]

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ELEZIONI: LA (GIUSTA) MOSSA DEL CAVALLO

«O si riallineano i Trattati europei alla Costituzione italiana, oppure il nostro Paese recede unilateralmente dall'Unione europea, costi quel che costi».

Questo è stato, assieme ad altri non meno importanti, un passaggio della Conferenza stampa svolta il 16 novembre scorso da Giulietto Chiesa e Antonio Ingroia, presentando la LISTA DEL POPOLO.


“La ‘mossa del cavallo’? La nostra non è una lista di sinistra, ma una lista civica dalla parte del popolo. E infatti si chiama ‘Lista del popolo'”. Esordisce così, ai microfoni di Ho scelto Cusano (Radio Cusano Campus), il giornalista-saggista Giulietto Chiesa, che spiega l’iniziativa politica sua e dell’ex pm antimafia, Antonio Ingroia.

“Vogliamo sottolineare subito che noi non siamo tra quelli che strillano contro il populismo” – continua – “Siamo dalla parte di quelli che stanno sotto e vogliamo batterci con loro contro quelli che stanno sopra. Facciamo un discorso rivolto a tutti i cittadini perché la Costituzione sia finalmente attuata. Non porteremo in Parlamento dei protestatari, ma gente che ha un programma serio e preciso. Facciamo già paura. Facciamo paura anche a Repubblica che stamattina ci prende in giro in prima pagina. Si rendono conto che se riusciamo a portare in giro le cose che diciamo ci saranno parecchi scossoni in Italia”. E aggiunge: “Con Ingroia ci siamo trovati sulla valutazione che l’Italia sta andando a picco e bisogna fare qualcosa. Con lui sono andato a prendere un caffè insieme e ci siamo chiesti: ‘Chi sono quelli che possono cambiare le cose?’ Le principali tre forze in Italia sono: Renzi che va a picco nel nulla. Poi c’è la vecchia destra, guidata da un uomo ormai passato di moda come Berlusconi, che si mette d’accordo con la Lega che è il nulla dal punto di vista intellettuale e politico. E infine” – continua – “c’è il M5S, che sta andando in braccio all’impero.

Abbiamo visto il nuovo capo Di Maio che, violando tutte le loro regole, va negli Stati Uniti a inchinarsi di fronte all’impero per dire che sono dalla loro parte. Se il panorama è questo è chiaro a tutti che mezza Italia non va a votare. Quindi, abbiamo deciso di fare un tentativo di risvegliare un pezzo d’Italia, quello che al referendum sulla Costituzione ha votato No, nonostante tutti i giornali e le tv al servizio del potere”. Chiesa rincara sui 5 Stelle: “Io non dico che siano tutti farabutti nel panorama politico e infatti alleanze le faremo con qualcuno che ha un programma. Purtroppo il M5S non ha un programma, io ritengo che andrà indietro alle prossime elezioni, nonostante tutti i sondaggi che non corrispondono con i miei sondaggi personali. Andrà indietro, perché sta abbandonando tutti i suoi fondamentali. E’ diventato un partito” – prosegue – “guidato da un signore, che è un incompetente palese, il quale non ha nessuna esperienza politica e nessuna dignità politica. Questa mattina mi trovavo a rispondere alle mail dei più inviperiti fanatici 5 Stelle e gli ho scritto: ma secondo voi Di Maio rappresenta il M5S? Perché, se vi va bene Di Maio che decida la linea, eletto con uno scarsissimo consenso, per carità fate come volete, ma io con questa gente qui non so come discutere”.

* Fonte IL FATTO QUOTIDIANO

“Non siamo né un nuovo partito e non saremo mai un partito, né tanto meno un nuovo Movimento – Antonio Ingroia e Giulietto Chiesa ci tengono subito a precisare, in apertura della conferenza stampa a Montecitorio per la presentazione de ‘La Lista del popolo – la mossa del cavallo‘ – le loro finalità: noi proponiamo un’alleanza popolare ai cittadini, contro i partiti”. “Ci rivolgiamo al 60% di elettori che hanno già deciso oggi di non votare alle prossime elezioni” afferma l’ex Pm Antonio Ingroia.

“Noi siamo in pieno colpo di stato, fatto senza i carri armati, ma portando il Paese per la quarta volta ad un elezione illegale. Questa legge elettorale è anticostituzionali e con la forza dell’inganno gli italiani saranno costretti ad andare a votare un nuovo Parlamento di nominati – afferma Giulietto Chiesa che aggiunge – ci divertiremo nel corso della campagna elettorale a mettere tutti in mutande”. Punti cardini della lista: “un’offensiva costituzionale, una mossa del cavallo, per scavalcare le file nemiche: partiti e politici mestieranti, che hanno determinato la fine della democrazia partecipata, quindi noi dobbiamo tornare alla Costituzione, della quale pretendiamo l’attuazione totale. Ecco il nostro programma rivoluzionario”.

Inoltre Ingroia, Chiesa, e gli altri organizzatori della ‘Mossa del Cavallo’ da David Riondino, a Vauro, dall’avvocato Sandro Diotallevi all’ex generale dei Carabinieri Nicolò Gebbia chiede la “Cancellazione dei trattati europei che non si rifanno alla Costituzione italiana: o si riallineano ad essi, oppure l’Italia dovrà recede unilateralmanete da questi trattati, costi quel che costi. Sulla Costituzione europea non si tratta – afferma Ingroia che aggiunge – i governanti italiani sono traditori della Costituzione e del popolo italiano, perché hanno trattato sulle nostre teste, vendendoci alle lobbies europee che quei trattati li hanno hanno scritti”. E Giulietto Chiesa sottolinea: “Per una nuova Europa ci vuole una nuova costituzione europea basata sulla volontà dei popoli, che deve essere espressa con dei referendum popolari. Porteremo questa nuova forza politica nel nuovo Parlamento, ne sono sicuro”


* Fonte: IL FATTO QUOTIDIANO

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29.11.17

La demonizzazione del sovranismo

C'è una parola, "sovranismo" che è sotto attacco propagandistico dal giorno della sua introduzione nel linguaggio politico nella primavera del 2012. Coloro che si rifanno a questo concetto, i sovranisti, assistono impotenti alla sua quotidiana delegittimazione, alimentata da un flusso costante, sebbene strisciante, di notizie che accostano il termine a significati apparentemente simili che tuttavia non ne colgono il significato profondo. Ricordate l'espressione TINA (There Is Not Alternative)? Quell'acronimo è l'emblema di una comunicazione politica il cui contenuto informativo è di zero bit, cioè assenza di scelta. Affinché sia possibile operare una scelta è infatti necessario almeno un bit, che sia 0 oppure 1, ma questo nel mondo della comunicazione politica modello TINA è precluso. Nel suo significato più profondo, dunque, "sovranismo" è il bit mancante nell'informazione politica, grazie al quale si può ricostruire il primo indispensabile operatore politico, l'operatore NOT. La sola presenza del NOT fa sì che diventi riconoscibile l'operatore nascosto che, ormai da decenni, è l'unico adoperato, l'operatore NOP, che sta per No-Operation (nessuna operazione).
Tutta la comunicazione politica di sistema agisce al fine di promuovere l'operatore NOP, il sovranismo invece proclama il NOT. Solo la possibilità di negare una tesi, una visione, una proposta politica, ne permette l'affioramento e, dunque il riconoscimento. Il globalismo, cioè l'idea della libera circolazione, della società vista come somma aritmetica di individui ognuno con la sua libertà che dipende solo dal suo capitale finanziario e umano (ricordate la Tatcher: "la società non esiste"), insomma l'ordine internazionale dei mercati posto come dato "naturale", emerge nella sua qualità di scelta politica solo nel momento in cui si impugna l'operatore NOT. Ecco perché la parola sovranismo è entrata nel mirino della propaganda politica dei media liberisti, che hanno ricevuto il compito di distruggerla demonizzandone l'uso.

Un'operazione che viene portata avanti ricorrendo all'unico mezzo possibile, consistente nel riassorbirla nelle pieghe del linguaggio politico unico. Lo stratagemma usato è quello di far sì che essa venga inserita all'interno di narrazioni politiche apparentemente anti liberiste, che del liberismo sono varianti cosmetiche. Ecco allora che il sovranismo viene proposto con significanti limitati, dall'uscire dall'euro - la sovranità monetaria, alla rivendicazione etnica - prima gli italiani, fino al risibile decideranno gli elettori con un referendum. Vediamo i movimenti No-Vax assimilati ai sovranisti (come se non ci fossero i NoVax liberisti, europeisti, atlantisti e chi più ne ha più ne metta), si usa la parola "fascismo" come sinonimo, come pure "populismo", fatto quest'ultimo indubbiamente meno grave, ma altrettanto capzioso.

Ora il punto cruciale da capire per intendere il significato profondo della parola sovranismo, e dunque il suo potenziale eversivo rispetto alla logica TINA, è già stato enunciato, e sono le parole della Tatcher, "la società non esiste". Parole che possono essere intese, in fondo, come un manifesto a posteriori del marginalismo, oppure, per farci capire anche da vegani e new agers, come affermare che "il tutto è la somma delle parti", ovvero che, per spiegarlo, basta studiare e comprendere il comportamento delle singole parti che lo compongono. Ecco, il sovranismo opera su tutto questo con un NOT: non è vero che la società non esiste, la società esiste eccome! Il tutto è più della somma delle parti.

Il che significa che le entità collettive esistono, siano esse le classi sociali, le etnie, le nazioni, i popoli, i sindacati, le associazioni capitaliste, le società segrete, le religioni, i legami di sangue, quelli tribali; insomma tutto quello che era pacificamente ammesso ancora cento anni fa e, da allora, è stato prima messo in discussione, e infine negato e annichilito, per effetto dell'azione politica di un movimento di idee, nato nella seconda metà del XIX secolo, che risponde al nome di marginalismo, con un'operazione NOT analoga a quella che oggi ripropone il sovranismo. Ed è stato annichilito perché, così facendo, il marginalismo ha camuffato la sua tesi da sintesi, elevandola a tale dignità usando in modo spregiudicato gli strumenti della comunicazione pubblicitaria di massa. Dunque un'operazione culturale di grande successo, certamente sofisticata ma anche promossa grazie all'enorme dispiegamento di mezzi messi a disposizione dalla ricchezza finanziaria e dall'impetuoso sviluppo dei mezzi di comunicazione.

Ora questo problema si pone, in Occidente, soprattutto al livello della percezione delle masse europee, in particolare italiane, perché altrove, perfino negli USA, l'idea che c'è un "noi" e un "loro" è ancora presente, e dunque che questa poltiglia che ci viene venduta come modernità, costituita dalla fiaba "dell'allocazione efficiente delle risorse all'interno di un mercato a concorrenza perfetta e cioè all'interno di un mercato in cui vi è un'ottima diffusione di informazioni", posta a fondamento della loro idea di democrazia, è una boiata pazzesca.

L'intuizione sovranista, dunque, consiste nella riscoperta della realtà concreta - oltre la narrazione TINA - che la società esiste e non è formata dalla somma aritmetica di singoli individui, ma è attraversata da confini e confitti di ogni genere, che essa stessa genera continuamente in un processo senza fine in cui il tempo gioca un ruolo fondamentale. Se ieri c'era la classe degli operai, oggi c'è il terziario impoverito; se appena due secoli fa un popolo non esisteva e non aveva coscienza di sé, oggi pretende di difendere la sua identità. E lo stesso - chiamiamolo così - campo sovranista, è attraversato da divisioni, perché ci sono quelli che si definiscono costituzionali e democratici, ma anche i sovranisti nazionalisti; non è un caso se, nel 2012, decidemmo di raccattare da terra questo termine, sovranismo, proprio per distinguerci dai nazionalisti. Ma resta vero che il nemico ideologico comune è il marginalismo, quell'ideologia fatta propria dal grande capitale (quello sì) internazionalista, e usata per dire a tutti i suoi nemici "voi non esistete". E' in questo modo, convincendo tutti del fatto di non esistere, che costoro hanno vinto. Per il momento.

Quanto appena esposto potrebbe essere inteso come uno sdoganamento della possibilità di unire tutti i sovranisti, ma questo sarebbe un errore imperdonabile. Non basta, per unire, il fatto di denunciare l'idea farlocca della fine della storia, così come non basterebbe, in una società per azioni, prendere coscienza che un socio di minoranza ha fatto credere a tutti di avere la maggioranza delle quote e che non ci fosse alternativa al suo dominio, per unire tutti gli altri in un'alleanza durevole. La fine della narrazione TINA, la rinascita della consapevolezza crescente che la società è divisa in classi, che le nazioni e i popoli esistono, segna solo il momento in cui il bluff della minoranza, che era riuscita a porsi come unico soggetto della storia del mondo, è stato scoperto. Dunque siamo sì, oggi, tutti "sovranisti", ma torneremo presto a dirci socialisti, comunisti, popolari, democristiani, repubblicani e, feccia della feccia, perfino liberali.

Dalle parti di questo blog oggi siamo sovranisti, ma domani saremo socialisti. 


Fonte: L'ego della rete

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28.11.17

ELEZIONI 2018 - ROSATELLUM 2.0: ISTRUZIONI PER L'USO di Programma 101

ELEZIONI 2018
Note tecniche per la presentazione elettorale

Tanti sono gli ostacoli frapposti dalla recente legge elettorale, il cosiddetto Rosatellum 2.0.
Cosa dice questa legge? Quali i suoi meccanismi truccati? Quali le incombenze per chi voglia presentarsi alle elezioni sfidando gli schieramenti sistemici?
Presentiamo ai lettori un essenziale vademecum.


 
La struttura del nuovo sistema elettorale

Il sistema elettorale con il quale voteremo nel 2018 è diverso da tutti quelli sin qui sperimentati. Semplificando, è un sistema misto con un 36% di maggioritario ed un 64% di proporzionale, ma questi due voti non sono separati (come avveniva con il Mattarellum), né è ammesso il voto disgiunto come avviene nei comuni o in alcune regioni (come si è visto nei giorni scorsi in Sicilia).

I sistemi di Camera e Senato sono pressoché identici. L'unica differenza è nell'attribuzione dei seggi della quota proporzionale. Pur essendoci una stessa soglia del 3% a livello nazionale, al di sotto della quale non si ha diritto alla ripartizione dei seggi, questi verranno attribuiti nazionalmente nel caso della Camera, regionalmente in quello del Senato. Ne consegue che al Senato il sistema risulta assai più sfavorevole per le liste minori, dato che il quoziente regionale è (con l'unica eccezione della Lombardia) sempre superiore al 3%. 

I seggi della parte maggioritaria verranno assegnati nei collegi uninominali, nei quali vige il sistema inglese: chi arriva primo viene eletto indipendentemente dalla percentuale raggiunta. Per essere eletti nei collegi uninominali non è necessario il superamento di alcuna soglia a livello nazionale. I collegi uninominali della Camera saranno 232, al Senato 116. Mediamente i collegi uninominali - che verranno disegnati dal governo entro metà dicembre - avranno una popolazione media di 260mila abitanti alla Camera e di 520mila abitanti al Senato.

I seggi della parte proporzionale - 386 alla Camera e 193 al Senato - verranno invece assegnati in collegi plurinominali, comprendenti al proprio interno un certo numero di collegi uninominali. In ogni collegio plurinominale in cui ci si presenta è necessario presentarsi contestualmente in tutti i collegi uninominali che lo compongono.  L'ampiezza dei collegi plurinominali è variabile. Alla Camera essi eleggeranno da 3 a 8 deputati, al Senato da 2 a 8. La loro consistenza in termini di popolazione andrà dunque da 470mila a un milione250mila abitanti alla Camera, da 620mila a 2 milioni e 500mila al Senato. Al pari di quelli uninominali, i collegi plurinominali verranno disegnati dal governo entro metà dicembre.

Gli altri seggi (12 alla Camera e 6 al Senato) vengono eletti nella circoscrizione estero, sui cui meccanismi qui non entriamo.

Il territorio nazionale è diviso in circoscrizioni (28 alla Camera, 20 al Senato coincidenti con le regioni). Esse comprendono al loro interno uno o (generalmente) più collegi plurinominali. In ogni circoscrizione è necessario presentarsi in almeno i due terzi dei collegi plurinominali, pena l'esclusione dal voto nell'intera circoscrizione.

Sono ammesse le coalizioni. Diverse liste, contrassegnate da diversi simboli, possono coalizzarsi per sostenere lo stesso candidato nei collegi uninominali. Sulla scheda, ogni simbolo, o coalizione di più simboli, avrà sopra il nome del candidato nel collegio uninominale, mentre alla sua destra vi saranno i candidati per il collegio plurinominale. Il voto al simbolo vale sia per l'uninominale che per il plurinominale. E' ammesso anche il voto soltanto al candidato dell'uninominale, ma nel caso di coalizioni - in assenza di un voto contestuale ad un simbolo - il voto per la quota proporzionale viene ripartito tra i vari componenti la coalizione in base ai voti totali ottenuti dalle stesse.

La soglia affinché le coalizioni siano riconosciute tali è del 10% a livello nazionale, a condizione che almeno una delle liste che la compongono abbia superato il 3%. La soglia di coalizione è importante perché solo raggiungendola i componenti della coalizione che abbiano superato il 3% hanno diritto a recuperare proporzionalmente i voti di altre liste della stessa coalizione che abbiano ottenuto tra l'1 ed il 3%. E' questo il trucco delle cosiddette "liste civetta".

TRE ASPETTI PRATICI PER PRESENTARSI ALLE ELEZIONI

Visto per sommi capi il meccanismo elettorale, passiamo adesso a tre aspetti pratici, particolarmente rilevanti allo scopo della presentazione di una lista dei sovranisti democratici e costituzionali:

1. La raccolta delle firme
2. Le candidature
3. Le modalità di presentazione

1. LA RACCOLTA DELLE FIRME

Come noto, chi come noi non ha rappresentanza parlamentare può presentarsi solo raccogliendo un elevato numero di firme. Viceversa, le forze che dispongono di una rappresentanza parlamentare, comprese Ap ed Mdp costituitesi solo nell'ultimo anno, sono esentate dalla raccolta. Dal punto di vista tecnico, è questo il primo e fondamentale sbarramento da superare.

QUANTE FIRME SERVONO

Le firme vanno raccolte solo ed esclusivamente a livello di collegio plurinominale.

Per la Camera - grazie ad un dimezzamento disposto dalle norme transitorie della nuova legge che vale solo per le prossime elezioni - servono da 750 a 1.000 firme per ogni collegio, indipendentemente dall'ampiezza dello stesso. Poiché il numero dei collegi è ancora incerto, non è al momento determinabile il numero di firme complessivo per presentarsi in tutta Italia. Tuttavia, ipotizzando 70 collegi (ma su questo esistono solo indiscrezioni giornalistiche e dunque la prudenza è d'obbligo), ed un margine di sicurezza del 10% rispetto al minimo richiesto, il totale ammonterebbe a 57.750 firme.

Al Senato sono necessarie da 1.500 a 2.000 firme per collegio plurinominale, ma a differenza della Camera il dimezzamento è previsto solo in caso di presentazione in tutte le circoscrizioni regionali. Poiché la legge prevede un meccanismo di definizione dei collegi abbastanza elastico, ma sostanzialmente conforme a quello della Camera, si può ipotizzare un numero di collegi variabile da 35 a 40. Sempre calcolando un margine di sicurezza del 10% rispetto al minimo, arriveremmo così ad un totale nazionale compreso tra 57.750 e 66.000 firme.

Come si vede, considerato nazionalmente, l'impegno per la raccolta delle firme è piuttosto omogeneo tra Camera e Senato. Visto regionalmente le cose potranno invece cambiare radicalmente a seconda del disegno dei collegi. 

I FIRMATARI, LA MODULISTICA, GLI AUTENTICATORI 

Per ogni collegio plurinominale sia della Camera che del Senato possono firmare solo gli elettori iscritti nelle liste elettorali di comuni compresi nel collegio. Nel caso di più collegi plurinominali nello stesso comune (sarà certamente il caso di Roma, quasi sicuramente di Milano, ma potrebbe avvenire anche a Napoli, Torino, Genova e Palermo), le firme andranno raccolte tenendo conto delle sezioni elettorali di ciascun firmatario.

I moduli per la raccolta delle firme, contenenti il simbolo e la sua descrizione, andranno predisposti centralmente. Poi, in ogni collegio plurinominale, i moduli andranno compilati inserendovi tassativamente l'elenco dei candidati. Onde evitare spiacevoli inconvenienti è sempre opportuno avere l'accettazione di candidatura di tutti i candidati prima di compilare i moduli.

In base alla Legge 21 marzo 1990 n° 53 e successive modificazioni, i soggetti abilitati all'autenticazione delle firme sono i seguenti: 
«i notai, i giudici di pace, i cancellieri e i collaboratori delle cancellerie delle Corti di appello, dei tribunali e delle preture, i segretari delle procure della Repubblica, i presidenti delle province, i sindaci, gli assessori comunali e provinciali, i presidenti dei consigli comunali e provinciali, i presidenti e i vice presidenti dei consigli circoscrizionali, i segretari comunali e provinciali e i funzionari incaricati dal sindaco e dal presidente della provincia. Sono altresì competenti ad eseguire le autenticazioni di cui al presente comma i consiglieri provinciali e i consiglieri comunali che comunichino la propria disponibilità, rispettivamente, al presidente della provincia e al sindaco». Oltre a questi soggetti la nuova legge abilita alle autenticazioni - limitatamente a queste elezioni - gli avvocati cassazionisti. 

Ognuna di queste figure può effettuare l'autenticazione solo nel territorio di propria competenza. Tuttavia, purché la firma venga raccolta nell'ambito suddetto, l'autenticatore può autenticare anche firme di elettori esterni al territorio di competenza. In generale, però, banali ragioni organizzative consigliano una tale pratica solo quando ne valga davvero la pena (inutile un'eccessiva dispersione di moduli a fronte di poche firme).

Le firme possono essere raccolte sia nelle normali sedi dei soggetti di cui sopra, che in qualsiasi altro luogo esterno ad esse, a condizione che l'autenticatore sia disponibile a farlo. Senza tralasciare le altre figure, l'esperienza ci insegna che conviene puntare sui consiglieri comunali e - ma con la controriforma delle province assai meno - su quelli provinciali. Se si individuano i soggetti giusti - e in genere si trova ancora qualcuno sensibile al diritto democratico alla presentazione elettorale -  si possono ottenere ottimi risultati, magari anche con costi molto contenuti.

2. LE CANDIDATURE

Sia alla Camera che al Senato i candidati sono uno per ogni collegio uninominale, mentre nei collegi plurinominali il loro numero non può essere inferiore alla metà (con arrotondamento all'unità superiore)  dei seggi assegnati al collegio. Ma, attenzione! In ogni caso, il numero dei candidati non può mai essere inferiore a due né superiore a quattro. Unica eccezione i collegi con un solo seggio in palio, dove evidentemente il candidato non può che essere uno soltanto.

Nessun candidato può presentarsi contemporaneamente alla Camera ed al Senato.
Nessun candidato può presentarsi in più di un collegio uninominale.
I candidati nell'uninominale possono però candidarsi anche nei collegi plurinominali fino ad un massimo di cinque.

Nei collegi plurinominali ogni lista è composta da un elenco di candidati presentati in ordine numerico (liste bloccate).

In base a quanto appena detto sulla possibilità delle puricandidature, il numero minimo per presentarsi in entrambe le camere in tutta Italia è pari al numero complessivo dei collegi uninominali, e dunque a 348 candidati in totale.

Col meccanismo della nuova legge, centrale è la scelta dei candidati nell'uninominale, dato che sarà proprio il loro risultato a "trainare" quello della quota proporzionale.

REQUISITI PER LE CANDIDATURE E RAPPRESENTANZA DI GENERE

Possono candidarsi tutti gli elettori che il giorno del voto abbiano compiuto 25 anni se candidati alla Camera, 40 anni se candidati al Senato. L'accettazione della candidatura avviene con la sottoscrizione autenticata di un apposito modulo.

Un punto a cui prestare la massima attenzione è quello della rappresentanza di genere. Tre sono le norme da rispettare, pena l'inammissibilità della lista:

a) Nelle liste dei collegi plurinominali (di Camera e Senato) i candidati devono essere collocati secondo un ordine alternato di genere.
b) Nel complesso delle candidature presentate nei collegi uninominali nessuno dei due generi può essere rappresentato in misura superiore al 60%, con arrotondamento all'unità più prossima. 
c) Nel complesso delle candidature dei collegi plurinominali nessuno dei due generi può essere rappresentato nella posizione di capolista in misura superiore al 60%, con arrotondamento all'unità più prossima. 

La percentuale del 60% di cui ai punti b) e c) deve essere rispettata a livello nazionale per quanto riguarda la Camera, a quello regionale per quel che concerne il Senato. 

3. LE MODALITÀ DI PRESENTAZIONE

Gli atti da compiere per la presentazione avvengono in due momenti distinti:
a) La presentazione del simbolo e degli altri documenti richiesti presso il Ministero dell'Interno, che deve avvenire tra il 44° ed il 42° giorno antecedente quello del voto.
b) La presentazione delle liste dei candidati nei collegi di Camera e Senato, che deve avvenire tra le ore 8 del 35° giorno alle ore 20 del 34° giorno antecedenti quello del voto. Tale presentazione avviene a livello circoscrizionale, presso la cancelleria della Corte di Appello o del Tribunale del capoluogo di regione.

All'atto del deposito del simbolo, presso il Ministero dell'Interno, deve essere indicata la denominazione del gruppo politico, deve essere depositato lo statuto (per chi è già registrato in base alla legge n° 149 del 2013), ovvero - in sua mancanza - una dichiarazione, contenente l'indicazione del legale rappresentante, degli organi dirigenti e della loro composizione. Questo adempimento non prevede particolari vincoli formali.

Sempre contestualmente agli atti di cui sopra è necessario indicare il programma elettorale ed il capo della forza politica. Infine, sempre nel medesimo atto, debbono essere indicati - con un unico documento autenticato da un notaio - il rappresentante effettivo e quello supplente incaricati di effettuare la presentazione delle liste nelle diverse circoscrizioni (vedi punto b).


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Queste note non sono certo esaustive. Per ragioni di spazio e di semplicità si è qui preferito restare all'essenziale, dando peraltro per scontata la conoscenza delle regole base di ogni presentazione elettorale. Si è scelto invece di sottolineare gli aspetti peculiari di questa nuova, e pessima, legge elettorale. 
Aspetti che è bene assimilare rapidamente, anche tenendo conto della ristrettezza dei tempi. Da una parte non sarà possibile passare alla fase della composizione delle liste prima della definizione dei collegi, dunque sarà comunque impossibile procedere alla raccolta delle firme prima del 20 dicembre. Dall'altra - se verrà confermato il 4 marzo come data del voto - la raccolta delle firme (tenendo anche conto dei tempi di certificazione elettorale dei comuni) non potrà andare oltre al 25 gennaio. Diverso sarebbe ovviamente il discorso nel caso di uno slittamento in avanti del voto, che consentirebbe tempi di raccolta delle firme ben più larghi.

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8.11.17

ELEZIONI: OLTRE LA SICILIA di Piemme

Risultati attesi, quelli emersi dalla urne siciliane? Mica tanto. 
Erano nell'aria sia la tenuta dei Cinque Stelle che la vittoria dell'Armata Brancaleone capeggiata da Musumeci. 
Inattesa, per le proporzioni, la batosta presa dal Pd renziano. Più seri del previsto i flop di Alfano, e quello della sinistra sinistrata che va da D'Alema e Fratoianni includendo Rifondazione comunista. 
Non solo il Pd esce accoppato dalle urne, schiantano entrambi i suoi alleati, quello sul fianco destro come quello sinistro (e al di là delle ciance un buon risultato di Mdp era auspicato dalle élite dominanti). 
E' stato fatto a pezzi il disegno di un blocco politico-sociale che avrebbe dovuto fare da argine ai..."populismi", quello pentastellato e quello di destra. Ciò che avrà pesanti ripercussioni sul quadro politico generale.

Le urne siciliane hanno intonato il de profundis per Matteo Renzi. Lo spaccone toscano è oramai un morto che cammina. Per le élite cupolari dominanti che considerano il Pd la loro essenziale protesi politica è un bel problema. Esse avevano messo nel conto, già dopo la sconfitta al referendum di un anno fa, che Renzi era un leader debole. Ora sono costrette, in vista delle elezioni politiche, dato che vogliono che il Pd resti il baricentro del potere, a sbarazzarsene e mettere al suo posto qualcun altro. Ma chi?

Non c'è in vista un Macron 2.0, visto che il primo, il Matteo appunto, è giunto a fine corsa.
Un problema drammatico per l'élite eurista italiana, quella che dopo il "golpe dello spread", defenestrato Berlusconi, ha tenuto le redini del Paese, sottoponendolo alle terapie euro-tedesche, per nome e per conto delle oligarchie plutocratiche globali. L'establishment cercherà disperatamente una soluzione,  ma ha bisogno di tempo e per questo non è escluso che si spostino le elezioni 2018 da marzo a maggio.

Chi governerà dopo le prossime elezioni?
LorSignori avevano messo nel conto un altro "governo delle larghe intese", ma con il Pd in posizione centrale. Ora che questa ipotesi è più aleatoria che mai si getteranno nelle braccia del Cavaliere? No, non si fidano per niente, anche perché la coalizione di centro-destra andrebbe in frantumi alla prima prova seria. 

E di prove serie, l'Italia, ne avrà diverse nei prossimi mesi. Ammesso e non concesso che una nuova tempesta economica recessiva non ci piombi addosso nel prossimo futuro, si dovrà fare i conti con le strette che chiederanno Berlino e Bruxelles, sul debito pubblico, sul sistema bancario. L'eurocrazia metterà chi salirà al governo con le spalle al muro: se l'Italia vorrà far parte del nocciolo duro della Ue dovrà adottare nuove draconiane misure antipopolari.
Per questo l'élite fa gli scongiuri all'idea che sia il Movimento 5 Stelle ad andare al governo. A chi comanda, il M5S serve come sfogatoio e calmiere dell'indignazione popolare, di dargli le chiavi di palazzo Chigi non ci pensano nemmeno.

Ecco dunque che, se le urne in primavera ci consegnassero, come sono certo, un tripolarismo di storpi, quindi un quadro ad alta instabilità politica e istituzionale, un nuovo commissariamento dell'Italia diventa altamente probabile, ma questa volta in una forma ancora più brutale di quanto avvenne con Monti. La troika in Italia?

Il Paese entra dunque, chiusa la parentesi renziana, in una nuova fase di forti fibrillazioni. Questo ci dicono anzitutto le elezioni siciliane ove quella venuta dalle urne fosse, come sembra, la tendenza generale destinata ad affermarsi.






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