ELEZIONI 2018: LA PROPOSTA DELLA C.L.N.

31.7.17

SICILIA: E QUESTA SAREBBE LA SINISTRA ALTERNATIVA? di S.St.

In vista delle elezioni regionali siciliane del 5 novembre, si è svolta ieri a Palermo l'annunciata assemblea per una lista della "sinistra alternativa siciliana". 
L'assemblea vedeva assieme  il Partito della Rifondazione Comunista, il Partito Comunista Italiano (ex-cossuttiani), i civatiani di Possibile, Azione Civile di Ingroia —Ingroia, nominato da Crocetta, è a tutt'oggi al vertice di una società regionale— Risorgimento Socialista e cespugli sinistrati vari. 
Non disponiamo del documento di accordo approvato, ma siamo certi che non riserverà sorprese: la solita minestra riscaldata sinistrese, la solita fuffa generalista sui diritti, il fondamentalismo dell'accoglienza per i migranti, il lamento per le ingiustize sociali, la retorica democratica in difesa della Costituzione. Temiamo che niente verrà detto sulla rimozione delle cause del disastro sociale, quindi sulla necessità di uscire dalla gabbia neoliberista dell'euro. Nulla sul fatto che non ci può essere sovranità popolare né applicazione della Costituzione senza ripristinare la sovranità nazionale italiana e nel suo seno di quella del popolo siciliano.
La decisione presa dall'assemblea è che l’editore Ottavio Navarra, [nella foto più sotto] ex-parlamentare PDS, sarà il candidato alla presidenza della Regione della lista di "sinistra alternativa al PD e alle destre".

Ma... c'è una sorpresina. Lo stesso Navarra si è detto pronto a farsi da parte se, in prospettiva, si farà strada un accordo con Sinistra Italiana e MDP-Articolo 1 di Bersani e D'Alema.  
Leggiamo infatti sul Giornale di Sicilia on line di ieri:
«PALERMO. Prove tecniche di sinistra in vista delle regionali di novembre in Sicilia. I comitati siciliani di «Possibile», insieme a Rifondazione comunista e Azione Civile dicono no alle politiche del Pd e a Rosario Crocetta e lanciano una lista che unisca il mondo civico e quello politico di sinistra per costruire un progetto credibile e alternativo con la candidatura di Ottavio Navarra alla carica di governatore della Sicilia.
E’ quanto emerso nel corso della convention che si è svolta oggi a Palermo. La sinistra guarda e punta a una coalizione, con un proprio candidato presidente, che annoveri al proprio interno anche Sinistra Italiana e Mdp-Art 1. Non a caso proprio Navarra, che l’assise ha designato candidato in pectore alla Presidenza, è pronto a fare un passo indietro in caso di un ok degli "alleati» alla costruzione di un progetto comune che metta al centro dell’agenda politica i diritti: dall’ambiente, al lavoro, alla salute fino a quelli civili».
Avete capito? Siamo alle solite, al consueto opportunismo per cui di dice una cosa ma si punta, per strappare uno scranno, a farne un'altra. Ben sapendo che la lista in questione non riuscirà nemmeno questa volta a superare lo sbarramento del 5%, si sacrifica la "radicalità" per lasciare la porta aperta all'inciucio con Sinistra Italiana e MDP-Articolo1 (gli ultra-europeisti che hanno governato distruggendo il Paese). Immaginate quali potranno essere i contenuti. Il nulla, sa parte un becero anti-renzismo, che in Sicilia si declina in facile sparare sulla croce rossa (anti-crocettismo).

Quale sarà la risposta dei bersano-d'alemiani e di Sinistra Italiana? Non è ancora dato sapere. Di certo essi puntano ad infliggere, in vista le elezioni nazionali di primavera, una sonora sconfitta al Pd renziano, ciò nella speranza che nel Pd Renzi venga defenestrato. In questa prospettiva farà comodo o no inglobare la "sinistra alternativa" dandogli qualche strapuntino? Forse sì...

Vedremo le prossime puntate della saga della sinistra siciliana.

Nel frattempo procede l'attività dell'alleanza che ha dato vita alla lista NOI SICILIANI CON BUSALACCHI - SICILIA LIBERA E SOVRANA. Una lista che in continente vede il sostegno della Confederazione per la Liberazione Nazionale, una collaborazione scolpita nel patto siglato giorni fa.

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29.7.17

CORBYN: NO ALL'IMMIGRAZIONE ALL'INGROSSO

«L'immigrazione di massa dall'Unione europea è stata utilizzata per "distruggere" le condizioni dei lavoratori inglesi», ha dichiarato oggi Jeremy Corbyn.[nella foto]

Il leader del Partito Laburista è stato pressato sull'atteggiamento del suo partito verso l'immigrazione durante il programma televisivo del giornalista Andrew Marr. Corbyn ha ribadito la sua convinzione che la Gran Bretagna dovrebbe abbandonare il mercato unico, sostenendo che "il mercato unico implica l'adesione all'UE ... le due cose sono inestricabilmente legate".

Corbyn ha affermato che il Labour dovrebbe invece sostenere "un accesso al mercato libero e senza tarfffe". Tuttavia, è stato fatto notare a Corbyn, che altri paesi che godono di questo tipo di accordi, come la Norvegia, lo fanno accettando le "quattro libertà" del mercato unico, che includono la libera circolazione delle persone.

Rivendicando l'uscita dal mercato unico della Ue, Corbyn ha usato un linguaggio che raramente abbiamo ascoltato da lui, accusando l'immigrazione di danneggiare la vita dei lavoratori britannici.

Il leader laburista ha affermato che dopo l'uscita dalla UE, ci saranno sempre lavoratori europei in Gran Bretagna e viceversa. Ha tuttavia aggiunto: "Quello che non avverrà è l'importazione all'ingrosso di lavoratori sottopagati dall'Europa centrale per distruggere le condizioni, in particolare nel settore delle costruzioni".

Corbyn ha affermato che impedirà alle agenzie [le agenzie private di reclutamento dei lavoratori, NdR] di pubblicizzare i loro annunci di lavoro in Europa centrale —chiedendo loro di consultare prima le autorità locali. Questa idea si basa sul "modello Preston" adottato da quel municipio, per cui si da la priorità ai fornitori locali per i contratti col settore pubblico. Le norme della UE impediscono questo approccio, considerandolo una discriminazione.

In futuro, i lavoratori stranieri "dovrebbero venire qui sulla base dei posti di lavoro disponibili e data la loro capacità di vivere dignitosamente. Quello che non permetteremmo è questa pratica ignobile da parte di queste agenzie, quella di reclutare forza lavoro, scarsamente pagata, e portarla qui per licenziare i lavoratori già impiegati nel settore edile, per poi pagarli con salari bassi. È spaventoso, e le uniche persone che beneficiano sono i padroni".

Corbyn ha anche detto che un governo guidato da lui "garantirebbe il diritto dei cittadini dell'UE di rimanere qui, incluso un diritto ai ricongiungimenti familiari", e spererebbe in un accordo di reciprocità con la UE per i cittadini britannici all'estero».


* Fonte: Newstatesman del 23 luglio
** Traduzione di SOLLEVAZIONE

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28.7.17

NAZIONALIZZARE SI PUO': il caso Stx di Emmezeta

Sprezzanti del senso del ridicolo l'hanno chiamata «nazionalizzazione temporanea». In questo il governo francese non è stato il primo, visto che la stessa formula l'aveva adoperata otto mesi fa Palazzo Chigi per Mps. Quel che è interessante, però, è che nel caso dei cantieri Stx, Parigi ha apertamente rivendicato l'interesse strategico nazionale. E qui i giornaloni nostrani cadono dal pero. Ma come, ma Macron non era un'europeista a tutto tondo? Il fatto è che il piccolo napoleone (con la enne rigorosamente minuscola, s'intende) non è solo neanche su questo. In quanto a protezionismo anche Berlino infatti non scherza, e la scorsa settimana la Germania ha adottato una normativa che consente al governo di bloccare acquisizioni di società tedesche oltre il 25%, in settori giudicati strategici. La differenza è che la normativa tedesca si riferisce ad acquirenti extra-UE, mentre la decisione francese su Stx colpisce un'azienda di un altro paese dell'Unione come Fincantieri.

I più comici nel rispondere allo schiaffo francese sono stati i ministri Padoan e Calenda, che hanno parlato di "decisione incomprensibile". Incomprensibile? Forse per loro, imbevuti come sono dell'ideologia neoliberista, non certo per i comuni cittadini che hanno ben compreso almeno due cose. La prima, che nella mitica Europa ci sono sempre più palesemente due pesi e due misure; più precisamente ci sono i paesi che comandano e quelli che eseguono. La seconda, che le nazionalizzazioni si possono fare eccome.

A mostrare lo squilibrio tra Italia e Francia bastano alcuni dati. Se la Francia ha da ridire sull'acquisto del 66,7% della piccola Stx, che in termini monetari vale la miseria di 80 milioni di euro, a quanto ammontano le acquisizioni francesi nel nostro Paese? E' presto detto. Negli ultimi vent'anni, da quando cioè oltre che "europei" siamo anche diventati eurizzati, lo shopping francese in Italia è stato pari a 101,5 miliardi (miliardi, non milioni) di euro.

Facciamo solo alcuni esempi, quelli più macroscopici. Nel settore bancario Bnl è interamente posseduta da Bnp Paribas, così come il fondo Pioneer è passato interamente nelle mani di Amundi. Diversi prestigiosi marchi dell'agroalimentare, come Parmalat ed Eridania, sono controllati al 100% da Lactalis e Cristal Union. Poi c'è la grande distribuzione con il ruolo pigliatutto di Carrefour. Per non parlare della moda, dove grandi nomi del made in Italy - come Fendi, Bulgari, Loro Piana, Gucci, Pomellato e molti altri - sono posseduti (dall'80 al 100%) dai due giganti d'oltralpe Lvmh e Kering. Quindi l'energia (e qui arriviamo a settori davvero strategici), dove Edf controlla il 100% di Edison e Suez il 23% di Acea. Poi la logistica con Alstom che ha il 100% di Fiat Ferroviaria. Ed infine le telecomunicazioni, dove Vivendi ha il 28,8% di Mediaset e soprattutto il 23,9% di Telecom (oggi Tim), una percentuale che gli assicura di fatto il controllo dell'azienda.

Un elenco impressionante che non ha bisogno di particolari commenti. Un commento che va invece fatto sull'attuale governo e sull'intera classe politica dell'ultimo quarto di secolo. Costoro, anziché scandalizzarsi di quel Macron che pure, non più tardi di quaranta giorni fa, avevano salutato come il Salvatore d'Europa, farebbero meglio a fare mea culpa sulla loro subalternità - teorica e pratica - all'ideologia mercatista. E' questa subalternità dell'intera classe dirigente italiana ai dogmi neoliberisti, ed alle oligarchie euriste posizionate lungo l'asse carolingio, il vero cancro da rimuovere.

Inutile dire che il mea culpa dovrebbe estendersi ai loro servitori dei media. I quali hanno fatto tutto il possibile per far credere ai cittadini la panzana del libero mercato. Hanno fatto di tutto per far diventare la parola "nazionalizzazione" una bestemmia, ed ora non sanno come trattare le decisioni farncesi. Ma la storia, pian piano, si vendica e si vendicherà di questi miserabili. Lo diciamo da tempo: la crisi della globalizzazione, che è per noi benvenuta, conduce inevitabilmente ad una rinazionalizzazione della politica, anche e soprattutto la politica economica. In quale direzione si svilupperà questo processo è da vedersi, ma le scelte di Macron (come pure quelle tedesche) confermano come sia questo il corso delle cose. Prenderne atto, per agire di conseguenza, costruendo cioè un sovranismo democratico e costituzionale, è l'unica risposta all'altezza della situazione.

In ogni caso le decisioni di Macron su Stx una cosa la dicono chiaramente: nazionalizzare si può, basta volerlo. Perché - settore strategico per settore strategico - non porsi allora l'obiettivo di rinazionalizzare intanto le telecomunicazioni e dunque Tim, togliendola così di mano al signor Bolloré?

Di questo bisognerebbe discutere anche in vista delle prossime elezioni politiche, altro che i toni lamentosi degli editorialisti sedotti ed abbandonati dal loro Macron.

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27.7.17

UN ORDINE NUOVO di Moreno Pasquinelli

Molti ci chiedono in questi giorni, soprattutto commentando sulla nostra pagina facebook, che cosa è la CLN, su che basi nasce o perchè riprendiamo l'immagine della bandiera italiana in cui campeggia la stella rossa. 
Per rispondere a queste domande, ripubblichiamo l'intervento di Moreno Pasquinelli (Programma 101) all'Assemblea Costitutiva della CLN, svoltasi a Roma, lo scorso 25 aprile.

«A nome del Coordinamento nazionale della CLN vi ringrazio per essere qui presenti. Mi auguro che questa assemblea serva a convincervi che malgrado la crisi drammatica che il nostro Paese attraversa, tutto è ancora possibile, che nessuno sconforto è giustificato, che non debbono esserci dubbi sul fatto che la nostra pattuglia si troverà sulla prima linea quando suonerà l’ora, non giunta ancora, della battaglia cruciale.

Non a caso abbiamo scelto, per riunirci, il 25 aprile. 72 anni fa l’Italia si liberava dal giogo del fascismo e dell’occupazione nazista. Proprio nel fuoco della guerra partigiana —che non fu solo di liberazione nazionale, che fu guerra civile e per certi versi anche guerra di classe— il popolo italiano, ricollegandosi alle sue migliori tradizioni spirituali e politiche, seppe riprendersi la dignità perduta e riconfermò che esso era non solo una sgangherata moltitudine ma una nazione, ovvero una comunità con un’identità storica ed ideale ed un comune destino. Non ci fosse stata la lotta partigiana, fossimo stati “liberati” solo dagli eserciti alleati, avremmo sì avuto uno Stato, ma senz’anima, uno Stato senza popolo.

Se il nostro Paese vive un momento storico drammatico, se la Repubblica è scossa alle fondamenta, è anche perché le classi dominanti, seguendo un impulso che hanno connaturato, hanno implorato l’ingresso di potenze straniere per consolidare il loro dominio e soggiogare il nostro popolo. Quest’aiuto non poteva essere gratuito. L’Unione a trazione tedesca ha chiesto e ottenuto la cessione di quote decisive di sovranità politica. L’altro ieri inviavano lanzichenecchi, ieri SS e carri armati, oggi l’invasione (altro che quella degli immigrati!) si manifesta in altre forme. Nel capitalismo-casinò in versione ordoliberista le nazioni si asserviscono infatti con nuove e micidiali armi di distruzione di massa: togliendo loro le leve della politica monetaria e di bilancio, che occorre riprenderci; con sofisticate speculazioni finanziarie che occorre impedire e che hanno nelle borse i loro santuari; nella rimozione di ogni ostacolo giuridico, che invece dobbiamo ripristinare, alle scorribande del capitalismo predatorio; in meccanismi di governance che privano i parlamenti di ogni effettiva supremazia sul decisore politico.

Non stanno quindi solo all’esterno i nostri nemici, ce li abbiamo dentro casa, sono gli strati superiori della borghesia i quali, con ogni sorta di intrighi e lusinghe, sostenuti da una casta di furfanti politici, aiutano i loro compari stranieri a depredare il Paese delle sue risorse, collaborano con loro nell’affamare la maggioranza del popolo e nell’affossare la Repubblica e le sue istituzioni. Hanno avuto il loro tornaconto, un miserabile strapuntino nel treno blindato ma senza freni della globalizzazione.

Non c’è salvezza per l’Italia finché questa classe di plutocrati disfattisti guiderà il Paese, finché non sarà ripristinato l’ordine costituzionale, ovvero non solo una democrazia formale ma sociale, dove l’eguaglianza non sia solo un formale guscio vuoto, ma sia anche sostanziale, quindi sociale.

Siamo dunque nazionalisti come affermano i nostri avversari? No che non lo siamo. Rifuggiamo anzi da ogni vanagloria nazionale. Ai nostalgici dello sciovinismo fascista e razzista come ai corifei del globalismo cosmopolitico, noi opponiamo lo stesso orgoglio patriottico che dopo l’8 settembre del 1943, spinse tanti giovani a diventare partigiani e la cui lotta diede i preziosi frutti della Repubblica e della Costituzione. Il nostro è un patriottismo repubblicano, costituzionale, democratico; che date le condizioni disperate che vive il Paese è patriottismo rivoluzionario, poiché solo con una rivoluzione democratica, nazionale e popolare l’Italia potrà risorgere nuovamente. Una rinascita che potrà esserci solo a patto che la grande maggioranza del popolo, passi dall’indignazione e dalla delega a improbabili sacerdoti dell’onestà, alla protesta attiva e consapevole. Quello nostro, per quanto abbia solide radici, non è un patriottismo passatista, è vivente, abita nelle battaglie di chi sta in basso, di cui l’ultima folgorante manifestazione è quella delle maestranze di Alitalia, le quali, dopo anni di umiliazioni e vessazioni, hanno trovato la forza del riscatto e dell’orgoglio proletario votando in massa NO ad un accordo infame già sottoscritto dai sindacati gialli, cosiddetti confederali.

Chi comanda ci accusa per questo di fomentare il disordine politico e i contrasti sociali. Noi rovesciamo l’accusa: voi, scardinando l’ordinamento costituzionale avete causato un caos politico e istituzionale senza precedenti! Voi, con il vostro crudele accanimento terapeutico neoliberista avete spinto al massimo la discordia e l’odio sociali! Peggio, per deviare l’insorgenza popolare che punta dritto contro di voi ed il vostro mondo tossico, state congiurando per scatenare una guerra tra i poveri. Siamo qui per impedirvelo, per togliervi la maschera progressista dietro la quale nascondete la vostra natura disumana. Noi siamo quelli che ristabiliranno l’ordine, ma un ordine nuovo, solido perché fondato sul consenso democratico, che voi non avete e non avrete mai più. Un ordine fondato sui vincoli di solidarietà e appartenenza alla comunità, sull’emancipazione dei più deboli, sulla sicurezza come protezione dei diritti sociali.

Non è il successo del No che abbiamo ottenuto il 4 dicembre che ci possa mettere al riparo dal disastro. Abbiamo solo respinto l’ennesima offensiva di chi comanda, che ora approfitta della tregua per riordinare le fila, trovare un nuovo varco per scardinare le nostre difese. All’erta dunque dobbiamo stare! Consapevoli che nessuna forza democratica, da sola, potrà evitare di essere travolta.

Ecco la ragione per cui abbiamo dato vita alla Confederazione, per dare un esempio, per sperimentare una via che aiuti l’unità delle forze democratiche ed antiliberiste. L’acronimo è CLN, una sigla impegnativa, che ci riporta appunto ai Comitati di Liberazione nazionale che sorsero nella Resistenza, che erano anche una forma di contropotere popolare e che per questo, tra la fine del 1945 e gli inizi del 1946, le rinascenti forze reazionarie, riuscirono ben presto a smantellare.

Non ci montiamo la testa per essere riusciti a dare vita alla CLN. Ci consideriamo tuttavia un lievito senza cui il pane della liberazione non si fa. Ci consideriamo una minoranza creativa, coloro che con le idee e l’esempio aiuteranno alla nascita di un blocco patriottico costituzionale che dovrà prima o poi strappare il governo dalle mani dell’oligarchia.Conosciamo i nostri limiti, ma non siamo affetti dal morbo del settarismo, non abbiamo paura, non temiamo il confronto, né con chi ci è vicino, né tantomeno con chi ci è lontano. Non ci appartiene l’ossessione della contaminazione. Non ci faremo chiudere in un recinto, sappiamo che per raggiungere la meta sarà necessario non solo convincere gli indecisi ma persuadere chi oggi sta nel campo avversario.

Lasciatemi concludere con quanto scriveva il martire la cui memoria serbiamo nei nostri cuori, Antonio Gramsci:

“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”.
Non restate dunque alla finestra amici e compagni, non siamo qui a chiedervi aiuto. Vi esortiamo invece a gettare il vostro corpo nella mischia, come protagonisti quindi, a combattere, a migliorare voi stessi, a credere in voi stessi. Poiché solo chi crede in sé stesso, può essere d’esempio per tanti altri».

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26.7.17

La sinistra è ormai globalista. Non resta che difendere la nazione

Giulietto Chiesa
Gentile dottor Chiesa,
Mi trovo a riscriverle perché non riesco proprio a comprendere il suo entusiasmo per questi movimenti nazionalistici (…) di sicuro non vedo nei movimenti nazionalistici la soluzione. Anzi a ben vedere rappresentano tutti un ritorno al passato che storicamente non ha mai funzionato. Lei (e molti altri) insiste sul fatto che destra e sinistra non esistono più e che adesso la vera dicotomia sia tra nazionalisti e globalisti (…). Ora, personalmente mi trovo solo parzialmente d’accordo con la sua analisi. Quello su cui mi permetto di dissentire fortemente è sulla sua idea che i “nuovi” movimenti nazionalisti siano al di sopra della dicotomia destra-sinistra. (…) Mi sembra che lei guardi con simpatia a questi movimenti, mentre io penso che rappresentino una cura peggiore del male stesso. (…) Non stupisce infatti che nessun movimento nazionalista abbia una soluzione (…). Visto che credo che entrambi proveniamo da un background di sinistra, vorrei capire come faccia a non vedere questi fattori macroscopici. Solo che il ritorno che lei sembrerebbe augurarsi è del tutto inadeguato a rispondere alle sfide dei prossimi decenni. Potrebbe dirmi cosa ne pensa di DIEM25 di Varoufakis che a me sembra l’unica opzione con un minimo di senso nel panorama europeo contemporaneo. Certo resta il fatto che sembra essere un movimento culturalmente elitario e non ancora in grado di parlare alle masse, nondimeno a me sembra che quella sia la direzione giusta: un movimento europeista democratico e di sinistra. La ringrazio e le auguro buon lavoro. Distinti saluti, 

Giovanni Fini


Gentile signor Fini,
la sua lettera è molto interessante perché mi consente di affrontare questioni che spesso sono fonte di equivoci sia terminologici che politici.

Lei esordisce attribuendomi, sconcertato, un mio “entusiasmo” per i “movimenti nazionalistici” che non mi risulta di avere mai espresso. Infatti io non ho mai pensato che essi rappresentino la soluzione dei problemi della nostra epoca. Né io penso che “la vera dicotomia sia tra nazionalisti e globalisti”. Io ragiono invece così: che tutti questi numerosi e distinti movimenti stanno sorgendo e moltiplicandosi come risposta alla globalizzazione americana o occidentale che dir si voglia. Sono la risposta spontanea, irriflessa, difensiva. Come tali essi sono il sintomo di una crisi profondissima delle società industriali cosiddette “avanzate”. E la loro azione, come lei scrive, sta infliggendo colpi durissimi, inattesi, alle classi dominanti dell’Occidente. Io plaudo a questi colpi, che ritengo salutari. Ma non posso essere entusiasta di ciò perché vedo, come lei, che chi prende la guida di questi movimenti sono spesso (non sempre) forze che non hanno a loro volta una visione della crisi, che guardano indietro (come lei giustamente rileva) anche perché non sanno cosa c’è davanti.
Il problema, uno dei problemi, è che la “sinistra”, tutte le miriadi di “sinistre” che conosciamo, non esistono più in forma di progetto. Esistono in quanto sono residuati storici, qualche volta semplicemente nostalgici, ma hanno perduto, agli occhi delle grandi masse popolari, ogni connotazione alternativa alla globalizzazione imperiale. L’hanno sposata senza condizioni, la appoggiano mentre organizza le guerre. E anche le sinistre più sinistre sono prive di ogni programma del presente, impegnate a recitare giaculatorie del passato che nessuno capisce. Non esiste più un’analisi di classe dell’epoca della sparizione delle classi così come le si intendeva nel secolo scorso. Non esiste più alcuna capacità dunque, di individuare le forze di un cambiamento possibile. E senza una tale capacità non c’è più alcun cambiamento possibile. Dunque la constatazione della sparizione della sinistra come alternativa alla globalizzazione fa sì che l’alternativa sia quasi dovunque di “destra”. Ma anch’essa, a ben vedere, non ha nulla in comune con quella della destra tradizionale, quella del XX secolo, anch’essa fagocitata dalla globalizzazione.
Dunque la mia posizione è molto diversa da quella che lei mi attribuisce. Anche per quanto concerne il discorso sulla fine della dicotomia destra-sinistra. 
La sinistra ha accolto la globalizzazione occidentale come il proprio orizzonte. 
E, con questo, ha finito di essere alternativa a quell’orizzonte. La destra politica che vediamo in Europa e negli Stati Uniti è anch’essa tutta all’interno di quell’orizzonte. Invocare una alternativa di sinistra in questo contesto equivale a una catastrofica illusione. Occorre una alternativa diversa rispetto a quel dualismo ormai morto. Come diceva molto bene Gore Vidal la democrazia occidentale è come un uccello con due ali, entrambe destre.
Io penso che occorre trovare le forze per sconfiggere la globalizzazione. E, quando mi pongo questo compito, penso al mondo, non all’Italia dove, molto probabilmente, queste forze non esistono più. Queste forze, dove esistono, sono tutte basate sul concetto, sull’idea di “nazione”. Si difendono, per ora, con la loro tradizione, con la loro lingua, la loro cultura, i loro strumenti finanziari (dove non ci sono più li stanno creando, come fa la Cina e la Russia, per esempio). Queste forze nazionali sono dei giganti. È ad esse che dobbiamo ispirarci e con esse dobbiamo stabilire rapporti.
Io penso che queste idee, accompagnate dalla difesa della propria sovranità, siano le uniche possibili per una difesa strategica contro la globalizzazione imperiale. Ho visto con i miei occhi la ricostruzione di una Russia, già soggiogata e colonizzata, mediante queste idee. L’idea di nazione non può essere mescolata con quella di nazionalismo che, come lei coglie, giustamente, è regressiva. Esiste un’idea di nazione che è, invece, una forza motrice per la salvaguardia dello stato nazionale. Per la salvaguardia delle istituzioni democratiche nazionali, le uniche dove i popoli possono decidere sovranamente. Quindi come opposizione a una globalizzazione, a un “internazionalismo”, che puntano alla disgregazione degli Stati, a una perdita totale della fisionomia delle diverse civiltà, a una omologazione totale.
Il globalismo della sinistra è la versione attuale, stravolta, dell’ “internazionalismo proletario” della sinistra. Poiché non esiste più il proletariato (non esiste più come coscienza di sé, né come organizzazione), questo internazionalismo è ora globalismo imperiale allo stato puro: “Un catafalco ideologico radical-chic-human rights-buonista-we can”. Non per niente le uniche idee che la sinistra propaganda sono i “diritti umani” nella versione imperiale.
Per quanto concerne DIEM25 di Varoufakis, trovo che sia totalmente all’interno di questo schema “internazionalista” di sinistra. Non c’è una parola sulla Nato, sulla guerra, sulla sovranità europea rispetto alla capitale imperiale, sulla sovranità degli stati europei all’interno di un’Europa democratica. Non andrà da nessuna parte. Quelli che stanno sopra non sono di destra, o di sinistra: sono dei dementi che ci portano al suicidio. Questa è la mia linea di demarcazione. Io sono “di sotto”, e penso di dover aiutare le masse popolari a rovesciare, finché siamo in tempo, quelli che stanno “di sopra”.

Fonte: ilfattoquotidiano.it
 

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24.7.17

LA CONFESSIONE SPONTANEA DEL PROF. PANEBIANCO di Leonardo Mazzei

Angelo Panebianco
A proposito di flat tax e Costituzione

Mannaggia, tutto ciò che ci serve è incostituzionale! Maledizione, chi ce lo ricorda non ha nemmeno torto! Peggio ancora: i tentativi di colpire al cuore la Costituzione modificandone la seconda parte falliscono, come si è visto il 4 dicembre. Che fare allora? Ma è semplice, bisogna cambiare direttamente la prima parte della Carta del 1948. Oddio, forse tanto semplice non è, visto come la pensa la maggioranza degli italiani. Ma non vorremo mica, noi liberali, sottostare al volere della plebe. Dunque si proceda in altro modo. Ad esempio scardinando l'impianto costituzionale a partire da un bel dibattito (leggasi da una massiccia campagna mediatica) sulla flat tax. Questo, in buona sostanza, il ragionamento proposto da quel gentiluomo di Angelo Panebianco sul Corriere della Sera del 21 luglio.

Il suo è un editoriale importante, perché indica da un lato che l'attacco delle èlite alla Costituzione non è certo archiviato (e questo lo sapevamo), dall'altro che l'assalto frontale agli stessi Principi Fondamentali ha bisogno di un nuovo Cavallo di Troia che ne consenta lo stravolgimento. La flat tax, appunto.

Ma seguiamo brevemente il discorso del Panebianco, che ha se non altro il merito di dire senza falsi pudori qual è l'obiettivo di lorsignori: quello di far corrispondere la costituzione formale a quella materiale, scolpendo una volta per tutte, anche nella pietra costituzionale, le "ragioni" del dominio di classe. Le sue proposte non lasciano adito a dubbi: passare da una repubblica fondata sul lavoro ad una fondata sulla "libertà", precisando subito che la prima "libertà" da tutelare è il diritto di proprietà da elevare a "diritto fondamentale".

Ora, anche se il Panebianco dice che la Costituzione del '48 «avrebbe potuto diventare - senza bisogno di revisioni - la carta fondamentale di una "democrazia popolare" se i socialcomunisti avessero vinto», a noi non risulta proprio che il diritto di proprietà abbia troppo sofferto negli ultimi settant'anni. Tant'è che il capitalismo italiano ha avuto il suo massimo sviluppo proprio nei primi decenni del dopoguerra. Ma ai rapaci del capitalismo-casinò dei nostri tempi anche questo non basta. Non solo vogliono che ogni legge sia a loro vantaggio, vogliono anche la piena vittoria sul piano ideologico. Concretamente, Panebianco vorrebbe la flat tax non solo per avvantaggiare i ricchi e per distruggere quel che resta del welfare (questo va da sé), ma anche (testuale) per assestare «una frustata ideologica e culturale».

Interessante l'elenco fatto dall'editorialista delle cose, per lui ovviamente tutte ottime, che possono però essere tacciate - giustamente, se non altro lo ammette - di incostituzionalità se non si interviene alla radice dei Principi Fondamentali: ovviamente la flat tax, ma anche le leggi elettorali maggioritarie, il numero chiuso nelle università e - orrore, orrore, tre volte orrore! - «forse perfino il Job act rischierebbe grosso di fronte a un rigoroso "controllo di costituzionalità"». Ma guarda un po', chi l'avrebbe mai detto!

Nei fatti il Panebianco ammette semplicemente che tutte le principali scelte politiche dell'ultimo quarto di secolo, non solo dunque le ultime firmate Renzi, sono incostituzionali. E questo perché - diciamo noi - tutte le scelte di questo periodo sono state ispirate all'ideologia ed ai dogmi neoliberisti. E neoliberismo e Costituzione proprio non possono convivere.

Fin qui, in un certo senso, siamo alla scoperta dell'acqua calda. Il che non toglie però interesse all'ammissione del Panebianco. Ma più interessante ancora è lo sviluppo del suo ragionamento. Sapendo di non potersi permettere un attacco scoperto alla prima parte della Costituzione (il referendum del 4 dicembre gli brucia ancora), ecco allora il gigantesco imbroglio della flat tax.

La gente non ne può più delle tasse? Bene, convinciamola che la prima cosa da fare è quella di introdurre una sola aliquota, uguale per tutti. Indovinate chi ci guadagnerà! No, calmi, mica quelli che credete voi, populisti che non siete altro. No, gente avvezza solo a pensar male di ogni studiata parola dei nostri giornaloni. Per il disinteressato editorialista del Corsera, e per tutti i sostenitori della "tassa piatta", ci guadagnerà solo l'economia, che riuscirebbe «a ripartire al galoppo, dopo decenni di alternanza fra stagnazione, recessione e bassa crescita». Boom, boom, triplo boom! Se davvero la flat tax fosse così benefica per l'economia, Russia ed Ucraina, che l'hanno introdotta rispettivamente nel 2001 e nel 2003, sarebbero in testa alle classifiche delle crescita, che ci raccontano invece una storia diversa assai.

Il succo della flat tax è palesemente un altro. Favorire spudoratamente i ricchi, cancellando anche quel minimo di redistribuzione della ricchezza che si determina grazie alla tassazione progressiva dei redditi. A questo scopo piuttosto volgarotto (e dunque poco confessabile), il Panebianco ne aggiunge un altro, per quelli della sua casta importante assai: affermare il principio del dominio assoluto della ricchezza anche nella carta costituzionale.

Detto questo, se sul Panebianco possiamo anche fermarci qui, non così sulla flat tax. Egli infatti non è solo, anzi. A rilanciare la "tassa piatta" ci ha pensato recentemente l'attuale presidente dell'Istituto Bruno Leoni, quel Nicola Rossi che è stato uno degli economisti di punta del centrosinistra nel primo decennio del secolo. Ma, come è noto a tutti, la flat tax è uno dei cavalli di battaglia preferito dalla Lega di Salvini, che proprio su questo tema ha ritrovato la piena convergenza con l'immarcescibile Silvio Berlusconi. E l'elenco potrebbe continuare...

Ora, siccome l'esercito di questi imbroglioni si va ingrossando, e siccome la propaganda leghista sul tema è attecchita anche in ambienti insospettabili del sovranismo, è quanto mai necessario fare chiarezza - numeri alla mano - sui veri effetti della flat tax, nelle varie forme proposte. Per questo torneremo nel dettaglio sul tema in un prossimo articolo.

Nel frattempo fissiamo almeno un punto: l'assoluta incompatibilità della "tassa piatta" con la Costituzione del 1948. A dire il vero, una inconciliabilità che chiunque può comprendere al volo senza bisogno di troppi discorsi. Ma viviamo tempi assai confusi, dunque di nuovo grazie al prof. Panebianco per la sua confessione spontanea.

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23.7.17

REGIONALI IN SICILIA: il patto tra la Confederazione per la Liberazione nazionale e Noi siciliani con Busalacchi-SICILIA LIBERA E SOVRANA

In vista della elezioni regionali siciliane che si svolgeranno il 5 novembre 2017 la CONFEDERAZIONE PER LA LIBERAZIONE NAZIONALE (CLN) ed il raggruppamento politico  NOI SICILIANI CON BUSALACCHI - SICILIA LIBERA E SOVRANA, hanno siglato il seguente accordo politico

(1) L’Italia è una nazione storica che ha tuttavia acquisito la sua forma moderna seguendo la via della conquista, manu militari, da parte dello Stato sabaudo.

(2) Alle profonde ferite causate dell’annessione si aggiunsero quelle dovute al modello statuale di centralismo autoritario imposto dalla monarchia. Alcune delle correnti patriottiche che proponevano una struttura federale e democratica dello Stato nascente vennero battute.

(3) A fare le spese di questa assimilazione forzata sono stati anzitutto i popoli del Mezzogiorno e, tra questi quello siciliano, i quali, malgrado una tenace resistenza, vennero soggiogati dall’alleanza d’interessi tra la borghesia settentrionale e le classi dominanti ascare del Sud.

(4) Il carattere colonialistico e predatorio dell’annessione fu una delle cause principali dell’impoverimento del Mezzogiorno e del successivo divario economico e sociale col resto del Paese ed al suo interno.

(5) Il fascismo, forte dell’appoggio delle classi e delle élite dominanti autoctone, e questa volta anche delle alte gerarchie cattoliche, accentuò la tradizionale politica di assolutismo centralistico e colonialistico a spese dei popoli e dei contadini del Mezzogiorno.

(6) Una svolta avverrà solo dopo la caduta del fascismo quando la Repubblica democratica nascente, con la promulgazione nel 1946 dello Statuto speciale, riconoscerà alla regione Sicilia la meritata autonomia. L’incorporazione di quello Statuto nella Carta Costituzionale fu un passo implicito verso una struttura statuale orientata al federalismo, passo che verrà confermato con la fondazione delle Regioni nel 1970.

(7) Tuttavia alle parole ed ai patti non seguirono i fatti. Le politiche centralistiche di spoliazione continuarono, anzi si accentuarono, lo Statuto venne disatteso —ancora una volta col beneplacito delle classi dominanti e delle élite siciliane, che rinsaldarono anzi il loro sodalizio d’affari con la grande borghesia settentrionale a spese del popolo siciliano.

(8) La consegna di decisive quote di sovranità politica da parte dell’Italia agli organismi tecnocratici dell’Unione europea —avviata con l’adozione dei neoliberisti Trattati di Maastricht e della moneta unica—, quindi le crudeli politiche austeritarie imposte dall’Unione a trazione tedesca, ha rappresentato per il tessuto sociale ed economico siciliano e del resto del Mezzogiorno il colpo finale e letale.

(9) Non solo la Sicilia ed il Mezzogiorno tuttavia, hanno subito un devastante processo di sfaldamento del tessuto sociale e di pauperizzazione generale. Questo è stato il destino di ampie zone d’Italia, comprese quelle ad alta industrializzazione. E’ in atto infatti, a causa dei meccanismi dell’Unione, quello che viene chiamato “processo di mezzogiornificazione” dell’Italia e di tutto il Sud europeo.

(10) I destini dei popoli e delle regioni italiane sono oggi legati a doppio filo. L’uscita dalla gabbia dell’euro e dell’Unione europea, l’abbandono delle politiche neoliberiste, la rottura con il finanzcapitalismo, sono necessari per evitare che l’Italia e la Sicilia precipitino in un declino inesorabile.

(11) In questo concreto contesto la battaglia del popolo siciliano per la sua AUTODETERMINAZIONE va di pari passo con quella dell’Italia per riconquistare la sua piena sovranità nazionale. Comune è la lotta contro le oligarchie eurocratiche che puntano a sopprimere gli Stati nazionali per trasformarli in province vassalle governate da docili ascari collaborazionisti.

(12) La completa e immediata attuazione all’impianto originario dello Statuto speciale —con il ripristino di quegli istituti dello stesso che sono stati arbitrariamente aboliti e con l’attuazione di tutti i suoi istituti costituzionali— necessaria per la rinascita economica e sociale della Sicilia dev’essere concepita nella prospettiva di di fare dell’Italia una autentica e democratica Repubblica federativa.

(13) Fatta salva l’intangibilità della Prima parte della Carta Costituzionale, spetterà ad un’Assemblea Costituente, eletta a suffragio universale, non solo rimuovere le manomissioni antidemocratiche compiute nell’ultimo trentennio, MA MODIFICARE IN SENSO FEDERALE, regionalista e municipalista la seconda parte sull’ordinamento della Repubblica.

La Confederazione per la Liberazione Nazionale e Sicilia Libera e Sovrana s’impegnano d’ora innanzi a mantenere relazioni fraterne e di mutua collaborazione.

In questo ambito ed in vista delle imminenti elezioni regionali siciliane la Confederazione per la Liberazione Nazionale s’impegna a fornire ogni necessario contributo operativo a Sicilia Libera e
Sovrana.

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NO, NON É MARX CHE L'HA DETTO di Beppe De Santis

Beppe De Santis
In Sicilia, quindi, il dado è tratto.
Dopo mesi pellegrinaggi in giro per l'Isola, incontri e riunioni. Dopo il successo in sei comuni nelle elezioni municipali del giugno scorso, il 17 luglio scorso, in conferenza stampa, abbiamo ufficialmente annunciato la nostra partecipazione alle prossime elezioni regionale del 5 novembre.

La lista si chiama NOI SICILIANI CON BUSALACCHI - SICILIA LIBERA E SOVRANA.

Sappiamo che abbiamo davanti una enorme montagna da scalare, sappiamo che l'impresa è ardua. Per entrare nell'ARS [Assemblea Regionale Siciliana, NdR] occorre superare lo sbarramento del 5%. In voti assoluti significa ottenere, dipende dalla percentuale dei votanti, tra i 170 e i 200mila voti.
Quella nostra è una coalizione, una coalizione politica e sociale.

Se sul piano sociale mobilitiamo i diversi ceti del devastato tessuto sociale siciliano —lavoratori pubblici e privati, disoccupati, contadini, imprenditori. Ed essi tutti saranno rappresentati nella nostra lista— su quello politico tre sono le componenti: quella autonomista, quella sovranista e quella indipendentista.

Come fate a mettere assieme sovranisti e indipendentisti, ci chiedono quelli che vogliono farci le pulci? Semplice: noi tutti immaginiamo un'Italia democratica e federale, fondata sui principi scolpiti nella prima parte della Costituzione. Siamo dunque per una Sicilia davvero autonoma in un'Italia di nuovo sovrana e liberata dalla gabbia eurocratica. Ove quest'autonomia ci venisse ancora negata (a causa di classi dirigenti siciliane corrotte e più globaliste di quelle romane la Sicilia è in una condizione di sudditanza), ove il popolo siciliano fosse costretto al Letto di Procuste colonialista, l'indipendenza, per quanto di ultima istanza, è un'opzione legittima.

Ci viene chiesto quale sia il nostro programma sociale, l'idea di società che abbiamo in mente. In conferenza stampa ne abbiamo annunciato i capisaldi. Quanto prima sarà sfornato il nostro programma, basato sui principi della democrazia sociale, solidaristica e popolare, proponendo tuttavia misure e soluzioni urgenti per lenire le sofferenze grandi del nostro popolo.

L'ho fatto nei mesi scorsi, intervenendo nei diversi comuni in cui ho avuto l'onore di prendere la parola. Per far capire che società abbiamo in mente, che il nostro autonomismo non è un cascame di quello finto che abbiamo subito; per far capire che abbiamo una visione ampia e una vista lunga, ho citato spesso frasi di Papa Francesco. Le ripeto ora, alle porte delle elezioni regionali.


No, non è Carlo Marx, è Papa Francesco....


«Mentre i guadagni di pochi crescono esponenzialmente, quelli della maggioranza si collocano sempre più distanti dal benessere di questa minoranza felice. Tale squilibrio procede da ideologie che difendono l'autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria. Perciò negano il diritto di controllo degli Stati, incaricati di vigilare per la tutela del bene comune. Si instaura una NUOVA TIRANNIA INVISIBILE, a volte virtuale, che impone, in modo unilaterale e implacabile, le sue leggi e le sue regole. Inoltre, il debito e i suoi interessi allontanano i Paesi dalle possibilità praticabili della loro economia e i cittadini dalla loro reale potere di acquisto».
EVANGELII GAUDIUM PAG. 56

«La maggior parte degli uomini e delle donne del nostro tempo vivono una quotidiana precarietà, con conseguenze funeste... crescono la mancanza di rispetto e la violenza, l'inequità diventa sempre più evidente... siamo dell'era della conoscenza e dell'informazione, fonte di nuove forme di un potere molto spesso anonimo».
da EVANGELII GAUDIUM PAR. 52

«Oggi dobbiamo dire no a un'economia dell'esclusione e dell'iniquità. Questa economia uccide».
da EVANGELII GAUDIUM PAR. 53

«Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un anziano ridotto a vivere per strada. Mentre lo sia il ribasso di due punti in borsa. Questo è esclusione... oggi tutto entra nel gioco della competitività, dove il potente mangia il più debole».
EVANGELII GAUDIUM PAR. 53

«Non parliamo solamente di assicurare a tutti il cibo, o un decoroso sostentamento, ma che possano avere prosperità nei suoi molteplici aspetti. Questo implica educazione, accesso all'assistenza sanitaria, e specialmente lavoro, perché nel lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale, l'essere umano esprime e accresce la dignità della propria vita. Il giusto salario permette l'accesso adeguato agli altri beni che sono destinati all'uso comune».
da EVANGELII GAUDIUM PAR. 192

«Finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri, rinunciando all'autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali dell'iniquità, non si risolveranno i problemi del mondo e in definitiva nessun problema dei mali sociali».
da EVANGELII GAUDIUM PAR. 202

«Non possiamo più confidare nelle forze cieche e nella mano invisibile del mercato. L'economia non può più ricorrere a rimedi che sono nuovo veleno, come quando si pretende di aumentare la redditività riducendo il mercato del lavoro e creando in tal modo nuovi esclusi».
da EVANGELII GAUDIUM PAR. 204

«La sfida urgente di proteggere la nostra casa comune comprende la preoccupazione di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile integrale, poiché sappiamo che le cose possono cambiare. (...) Il clima è un bene comune, di tutti e per tutti. L'umanità è chiamata a prendere coscienza della necessità di cambiamenti di stili di vita, di produzione e di consumo, per combattere questo riscaldamento o, almeno, le cause umane che lo producono o lo accentuano.
da LAUDATO SI' PAR.13

«Se la tendenza attuale continua, questo secolo potrebbe essere testimone di cambiamenti climatici inauditi e di una distruzione senza precedenti degli ecosistemi, con gravi conseguenze per tutti noi».
da LAUDATO SI' PAR. 24

«Anche le risorse della terra vengono depredate a causa di modi di intendere l'economia e l'attività commerciale e produttiva troppo legati al risultato immediato. La perdita di foreste e boschi implica allo stesso tempo la perdita di specie che potrebbero costituire nel futuro risorse estremamente importanti, non solo per l'alimentazione, ma anche per la cura di malattie e per molteplici servizi».
da LAUDATO SI' PAR. 32

«Ricordiamo, per esempio, quei polmoni di biodiversità che sono l'Ammazzonia e il bacino fluviale del Congo, o le grandi falde acquifere e i ghiacciai. È ben nota l'importanza di questi luoghi per l'insieme del pianeta e per il futuro dell'umanità. Gli ecosistemi delle foreste tropicali hanno una biodiversità di grande complessità, quasi impossibile da conoscere completamente, ma quando queste foreste vengono bruciate ora sei al suolo per accresce le coltivazioni, in pochi anni si perdono innumerevoli specie, o tali aree si trasformano in aridi deserti. Tutta via, un delicato equilibrio si impone quando si parla di questi luoghi, perché non si possono ignorare nemmeno gli enormi interessi economici internazionali che, con il pretesto di prendersene cura, possono mettere in pericolo le sovranità nazionali. Di fatto esistono proposte di internazionalizzazione dell'Ammazzonia, che servono solo agli interessi economici delle multinazionali».
da LAUDATO SI' PAR. 38

«L'ambiente umano e l'ambiente naturale si degradano insieme, e non potremo affrontare adeguatamente il problema ambientale, se non prestiamo attenzione alle cause che hanno attinenza con il degrado umano e sociale. Mai abbiamo maltrattato e offeso la nostra casa comune come negli ultimi due secoli».
da LAUDATO SI' PAR. 48 e 53

«La sottomissione della politica alla tecnologia e alla finanza si dimostra nel fallimento dei Vertici mondiali sull'ambiente. (...) I poteri economici continuano a giustificare l'attuale sistema mondiale, in cui prevalgono una speculazione e una ricerca della rendita finanziaria che tendono ad ignorare ogni contesto e gli effetti sulla dignità e sull'ambiente.
da LAUDATO SI' PAR. 54 e 56

«Ogni approccio ecologico deve integrare una prospettiva sociale Che tenga conto dei diritti fondamentali dei più svantaggiati. Il principio della subordinazione della proprietà privata alla destinazione universale dei beni e, perciò, il diritto universale al loro uso è una "regola d'oro" del comportamento sociale, e il "primo principio di tutto l'ordinamento etico-sociale". La tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto ed intoccabile il diritto alla proprietà privata, e ha messo in risalto la funzione sociale di qualunque forma di proprietà privata».
da EVANGELII GAUDIUM PAR.192

«Non si può pensare di sostenere un altro paradigma culturale e servirsi della tecnica come di un mero strumento, perché oggi il paradigma tecnocratico è diventato così dominante, che è molto difficile prescindere dalle sue risorse, e ancora più difficile è utilizzare le sue risorse senza essere dominati dalla sua logica. Non si tratta né di utilità, né di benessere, ma di dominio; dominio nel senso estremo della parola».
da LAUDATO SI' PAR. 108

«Il paradigma tecnocratico tende ad esercitare il proprio dominio anche sull'economia e sulla politica. L'economia assume ogni sviluppo tecnologico in funzione del profitto, senza prestare attenzione a eventuali conseguenze negative per l'essere umano. La finanza soffoca l'economia reale. Non si è imparata la lezione della crisi finanziaria mondiale e con molta lentezza si impara quella del deterioramento ambientale».
da LAUDATO SI' PAR. 109

«La liberazione dal paradigma tecnocratico imperante avviene di fatto in alcune occasioni. Per esempio, quando comunità di piccoli produttori optano per sistemi di produzione meno inquinanti, sostenendo modello di vita, di felicità e di convivialità non consumistico».
da LAUDATO SI' PAR. 112

«La visione consumistica dell'essere umano, favorita dagli ingranaggi dell'attuale economia globalizzata, tende a rendere omogenee le culture e a indebolire l'immensa varietà culturale, che è un tesoro dell'umanità. È necessario assumere la prospettiva dei diritti dei popoli e delle culture, in tal modo comprendere che lo sviluppo di un gruppo sociale suppone un processo storico all'interno di un contesto culturale e richiede il costante protagonismo degli attori sociali locali a partire dalla loro propria cultura».
da LAUDATO SI' PAR. 144

«Abbiamo bisogno di una reazione globale più responsabile, che implica affrontare contemporaneamente la riduzione dell'inquinamento e lo sviluppo dei Paesi e delle regioni povere. Il XXI secolo, mentre mantiene una governance propria di epoche passate, assiste ad una perdita di potere degli Stati nazionali, soprattutto perché la dimensione economico-finanziaria, con caratteri transnazionali, tende a predominare sulla politica».
da LAUDATO SI' PAR. 175

«La politica non deve sottomettersi all'economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficentista della tecnocrazia».
da LAUDATO SI' PAR. 189

«Il salvataggio ad ogni costo delle banche, facendo pagare il prezzo alla popolazione, senza la ferma decisione di rivedere e riformare l'intero sistema, riafferma un dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi dopo una lunga, costosa e apparente cura. La crisi finanziaria del 2007-2008 era l'occasione per sviluppare una nuova economia più attenta ai principi etici, e per una nuova regolamentazione dell'attività finanziaria speculativa e della ricchezza virtuale. Ma non c'è stata una reazione che abbia portato a ripensare i criteri obsoleti che continuano a governare il mondo».
da LAUDATO SI' PAR. 189

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21.7.17

SICILIA VERSO LE ELEZIONI DEL 5 NOVEMBRE: INIZIANO LE DANZE

Da sinistra: E. Vecchio, L. Musso; F. Busalacchi, B. De Santis
Qualche giorno fa informavamo i lettori dell'ingresso ufficiale in campo, in vista delle elezioni regionali del prossimo 5 novembre, di una coalizione che ha trovato in Franco Busalacchi il candidato presidente dell'ARS (il Parlamento regionale).
La coalizione —frutto di una meticoloso lavorio politico, che ha visto in Beppe De Santis (Noi Mediterranei, aderente alla CLN - Confederazione per la Liberazione Nazionale) uno dei suoi principali architetti— è stata resa possibile dall'accordo di tre componenti politiche e ideali: quella autonomista rappresentata da Franco Busalacchi (I Nuovi Vespri), quella indipendentista guidata da Erasmo Vecchio e quella sovranista democratica di Beppe De Santis e Massimiliano Musso (Forza del Popoloaderente alla CLN)*.

Nella conferenza stampa del 17 luglio sono stati presentati il nome —Noi siciliani con
Busalacchi - Sicilia Libera e Sovrana—, il simbolo della lista (vedi accanto), e indicato per sommi capi il programma (la stesura definitiva è in arrivo). Per quanto concerne la squadra dei candidati gli amici siciliani sono al lavoro, che pensano possa concludersi entro i primi di settembre. Opera enorme, visto che l'isola è divisa in ben nove province/circoscrizioni elettorali e solo raccogliere le firme necessarie per poter accedere alla competizione è una grande impresa.

E' indicativo che i nostri amici si siano mossi per primi. Dalle altre parti politiche tutto è ancora in alto mare. Se nel campo delle destre il marasma è totale, grandi manovre sono in atto nel centro-sinistra dove si stanno scannando i due capibastone: il rieletto sindaco di Palermo Leoluca Orlando e l'attuale presidente (in caduta libera) Rosario Crocetta. Il Partito democratico, renziani compresi, non sanno che pesci pigliare. Anche a sinistra del Pd si brancola nel buio. C'è chi vorrebbe ficcarsi all'ombra di Orlando, chi vorrebbe andare con Crocetta, chi immagina una lista in solitaria contro tutti e due —facciamo notare che la "sinistra radicale" non è mai riuscita ad entrare nel parlamento regionale.

Staremo a vedere.

Quel che è sicuro è che la situazione sociale in Sicilia è davvero drammatica. Qui crisi, austerità europeista e globalizzazione hanno colpito molto più che altrove. E se questo è accaduto è anche perché la regione è governata da ascari  che hanno obbedito brutalmente ai dettami austeritari e neoliberisti provenienti da Bruxelles, via Roma.

La domanda è semplice: si riverserà nelle urne la dilagante protesta sociale di chi sta in basso? E se sì, premierà solo i Cinque Stelle o anche i nostri amici di SICILIA LIBERA E SOVRANA

Intercettare l'indignazione popolare è la condizione per superare la soglia di sbarramento del 5%. Se questo avvenisse, sarebbe il fenomeno politico più importante delle elezioni del 5 novembre. Affinché questo avvenga è importante riportare al voto tanti cittadini disperati e/o disincantati.
Ricordiamo che in Sicilia votano ben 4milioni e mezzo di cittadini, ma che nelle precedenti elezioni regionali del 2012 l'astensione toccò il record storico del 50%. Allora furono i Cinque Stelle ad incassare la protesta silenziosa dei siciliani (col 18% dei voti) , e non i Forconi di Mariano Ferro, che ottennero uno striminzito 1,20%. Un fatto da cui trarre diverse lezioni.

SICILIA LIBERA E SOVRANA non nasconde di puntare a superare le Forche Caudine del 5%. Non solo protesta, affermano, noi siamo anche proposta.

Forza del Popolo è un movimento sicilianista e meridionalista e non ha nulla da invidiare agli altri movimenti sicilianisti. Tuttavia è un movimento italiano a vocazione nazionale. Non vuole staccarsi dall’Italia, ma ritiene improrogabile ed indefettibile l’inserimento serio e concreto della questione siciliana e meridionale in genere nell’agenda politica nazionale.

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20.7.17

CLN: i protagonisti del Forum Internazionale


Venerdì prossimo, 1 settembre, alle ore 10:00, presso il Grande Albergo Fortuna(Chianciano Terme) inizia dunque la II Assemblea della Confederazione per Liberazione Nazionale.
Come abbiamo annunciato la prima giornata consisterà in un FORUM INTERNAZIONALE.
Un'occasione preziosa per ascoltare esponenti di punta di movimenti che nei loro paesi si oppongono alle politiche neoliberiste delle élite dominanti.
Un FORUM imperdibile per tutti gli attivisti che in Italia si impegnano per la liberazione sociale e nazionale, e che si vogliono guardare attorno per capire chi sono e chi saranno gli alleati della futura Italia libera e sovrana.
(Qui il programma delle giornate di sabato e domenica

Questo i temi ed i protagonisti del FORUM INTERNAZIONALE:

Venerdì 1 settembre

Prima sessione ore 10:00 - 13:00

Gran Bretagna

Dalla Brexit all'affermazione di G. Corbyn
La parola a KUNLE OLULODE 
(portavoce di Invoke Democracy Now

Kunle Olulode














Germania
Die Linke è un'alternativa alla socialdemocrazia?
La parola a INGE HÖGER 
(parlamentare della Linke)

Presiede: Whilelm Langhtaler 

Inge Höger














Seconda sessione ore 15:30 - 19:00

Spagna
Podemos e la Catalogna: secessione o Spagna federale?
La parola a DIOSDADO TOLEDANO GONZALEZ
(coordinamento generale di Cataluña En Comu e portavoce di Socialismo XXI)

Presiede: Moreno Pasquinelli 

Diosdado Toledano Gonzalez














Francia
Un nuovo patriottismo: l'esperienza e la proposta di France Insoumise
La parola a GABRIEL AMARD e CHRISTIAN RODRIGUEZ 
(dipartimento esteri di France Insoumise)

Presiede: Giuseppe Angiuli 

Gabriel Amard
















Christian Rodriguez













Grecia
Dopo Syriza cosa? 
La parola a DIMITRIS MITROPOULOS
(direzione di Unità Popolare)


Dimitris Mitropoulos

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